Chiunque abbia mai ascoltato per una decina di minuti La Zanzara – e io, cosciente che ne risponderò prima o poi di fronte a Dio o chi per lui*, sono tra questi – sa benissimo come funziona la trasmissione di Radio24.
Ogni puntata è sostanzialmente divisa in:
– Cruciani che tenta di mostrare quanto non è perbenista, guardami per favore, non sono perbenista
– Cruciani accomodante col potente di turno in collegamento
– Cruciani un po’ (ma non troppo) irriverente nei confronti del potente di turno non in collegamento
– Cruciani che tratta male chi ha un reddito inferiore al suo
– Cruciani che in maniera neanche troppo sottile tenta di montare un caso sul nulla.
All’ultimo punto deve la propria fama La Zanzara.
Cruciani, eroe del giornalismo cialtrone, dotato di superpoteri come far apparire Parenzo una persona gradevole e rimandare all’infinito un necessario shampoo, passa buona parte delle interviste ai personaggi pubblici meno smaliziati tentando di fargli dire qualcosa di controverso, affinché il giorno dopo si parli di lui e Gramellini non debba cercarsi un lavoro.
“Ma scusi, sta dicendo [qualcosa di scandaloso]?”
“…”
“Perché non dice [qualcosa di scandaloso]?”
“…”
“Ma lei pensa che [qualcosa di scandaloso]?”
“…”
“Facciamo che io dico [qualcosa di scandaloso] e lei annuisce o mi fa un silenzio/assenso?”
e i più stupidi – chi ha detto Borghezio? – ci cascano.
Non è nemmeno il caso di Guido Barilla. Il presidente dell’omonima multinazionale ha semplicemente detto che non faranno spot utilizzando come testimonial famiglie composte da coppie gay.
E chi cazzo se ne frega?
E perché dovrebbe fare il contrario?
Gran parte della gente con cui abbiamo a che fare ogni giorno pensa, nella migliore delle ipotesi, che “i gay in camera loro possono fare quello che vogliono“, però che schifo i froci che si baciano in pubblico, che catastrofe i finocchi che si sposano.
Per Dio! Va bene tutto ma i bambini stiamo scherzando!?**
Se fossi il Presidente della Barilla non vedrei l’ora, di fronte a tanta gente dalle vedute così aperte, di associare al mio marchio lo slogan non ufficiale “la pasta dei froci”. E se qualcuno pensa che una multinazionale che vende tagliatelle debba farsi carico di una battaglia culturale necessaria, beh, spero abbia trovato dove parcheggiare il suo unicorno.
A parte che da un punto di vista semiotico associare un prodotto come la pasta alla famiglia modello Mulino Bianco – la quale, pur non essendo mai esistita, sa tanto di “di una volta” – è la cosa più ovvia (e per un pubblicitario comprensibilmente giusta), da quando le teste di cazzo hanno smesso di essere una fetta rilevante del mercato?
E, guarda un po’, la Mulino Bianco appartiene a Barilla.
Però dai, continuiamo a protestare:
* spero che questo qualcuno sia meno vendicativo di Dio o che almeno ne segua l’esempio non esistendo.
** perché è chiaro che l’opinione personale che ci si è formati al bar tra uno spritz e una partita a scala 40 è più importante della ricerca scientifica.